Tumori e chimica verde

Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri fra i più alti d’Italia nei risultati del rapporto S.E.N.T.I.E.R.I marzo-aprile 2014 (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento)
La contemporanea presenza di impianti termoelettrici, chimici, petrolchimici, di raffinazione, discariche (legali ed abusive) ha esposto uomini e donne ad un ambiente contaminato da diversi tipi di agenti inquinanti: causa di rischio nell’insorgenza di alcuni tipi di tumori.
I ricercatori che hanno steso il rapporto hanno registrato un numero di casi crescente in entrambe i sessi per l’insorgenza dei tumori più pericolosi.
La situazione è molto grave perché nei cittadini non è percepito il pericolo che si corre anche nel solo svolgere le semplici attività quotidiane.
I livelli di benzene, particolato PM10 e PM2,5, correlati con diverse patologie tumorali, hanno superato le soglie minime. Fatti gravissimi che lasciano indifferenti autorità e opinione pubblica. I venti dominanti disperdono velocemente le polveri ma, visti i dati sui tumori, gli effetti dannosi sulle persone si manifestano comunque e pesantemente.
Gli allarmi che in questi anni sono stati diffusi, hanno incontrato il muro di gomma di un opinione pubblica dominata dalla sudditanza nei confronti delle multinazionali che, con la minaccia di licenziamenti, hanno sopito le proteste di lavoratori e cittadini. Il risultato è che le multinazionali hanno comunque chiuso diversi stabilimenti e l’ambiente risulta fortemente compromesso.
Le aziende che hanno operato nel territorio senza considerare le esternalità negative delle loro produzioni sono tante. Adesso, per esempio, il costo e le conseguenze di un ambiente inquinato lo pagano i nostri padri, le nostre madri, i nostri amici che patiscono fra sofferenze atroci e morti premature. I costi di quelle degenze sono un peso sul SSN che sarebbe da addebitare a quelle aziende e non alla collettività. I costi delle bonifiche sono quasi sempre a carico dello stato, quindi nostro. Questo è il frutto di un modello di industria che non ha considerato tutte le conseguenze negative dei propri processi produttivi.
Con la “Chimica Verde” si rischia di ripetere il copione. Da tempo i partner del progetto, produttori del cardo e università, hanno evidenziato i punti di debolezza del progetto. Cosa accadrà quando la produzione di cardo non sarà sufficiente a far funzionare gli impianti? Siamo sicuri che le esperienze produttive che si avviano in questo periodo siano veramente “verdi”? O anche i nostri figli, domani, dovranno farsi carico di riparare ai danni delle scelte sbagliate fatte da noi oggi?
Il modello di sviluppo, che anche l’Europa ci indica, prevede, il riciclo dei materiali, l’impiego di energie rinnovabili, nuovi materiali di isolamento, il risparmio nei consumi, la riduzione nell’impiego dei combustibili fossili. Ma da noi continuano le discussioni (vedi convegno Fondazione Segni) su perforazioni alla ricerca di gas e petrolio, rigassificatori, etc.
Giovanni Battista Careddu